Testimonianze - Parte prima
Il 25 marzo 1988, giorno dell’Annunciazione un confratello di Padre Gabriele, Padre Giuseppe M. Bortone, ci scriveva:
Per la gent.ma dott.ssa Gabriella Pasquali Carlizzi e per l’Associazione fra i Volontari della Carità, dal Convento 7 SS. Fondatori O.S.M. in Via Benevento, 25 - 00161 Roma
Allego alla mia lettera del 25 marzo 1988, copia in carta carbone (e carta vergatina, purtroppo!) di una mia lettera del 24 marzo 1982 indirizzata a P. Gabriele, e consegnata nelle sue mani, della quale l'originale dovrebbe trovarsi, penso, come Vi ho detto altre volte, nell'archivio del P. Gabriele. Qualora non si trovasse, potrebbe essere utile questa copia (anche se un po' difettosa per le esposte ragioni). Si tratta di una TESTIMONIANZA che potrebbe, e la giudicherete Voi, essere importante...
Ecco qui di seguito trascritta la lettera a Padre Gabriele cui fa riferimento Padre Giuseppe, così come lui stesso afferma davvero “importante”:
Ave Maria
Per Padre Gabriele M. Berardi dal Convento dei 7 SS. Fondatori OSM - Via Benevento 25
Roma, 24 marzo 1982
Carissimo Padre Gabriele,
era da diversi anni che progettavo di fare quanto sto facendo adesso. Finalmente ci son riuscito!
Innanzitutto, voglio pregarLa di gradire questo modestissimo omaggio: a Lei che nei Primi Venerdì del Mese ha occasione di predicare nella messa dell'Apostolato della Preghiera, questo libro del gesuita Padre Aru, nel quale sono raccolti i più notevoli pensieri che, nel corso dei secoli, a cominciare dai primi, sono stati espressi sul Cuore di Gesù... Penso d'aver fatto cosa gradita.
In secondo luogo, La prego di permettermi di esprimere per iscritto, quanto già altre volte ho manifestato a voce; e cioè, la convinzione che mi si è andata maturando nel corso di questi oltre otto anni di confessioni alla messa delle ore 10, che è quella da Lei celebrata.
Confessando, infatti, i Suoi innumerevoli devoti e visitatori, conoscendo e venendo a conoscere tanti casi di persone che a Lei ricorrono, ho dovuto convincermi che il Signore, tramite lei, opera effettivamente tanto del bene, non solo ai corpi, ma particolarmente alle anime; mi risulta, infatti che:
1°, molti, da anni lontani dai Sacramenti e dalla Chiesa, in occasione di una o più visite fatte a Lei, ritornano alla pratica dei Sacramenti e della Chiesa;
2°, molti, i quali abitano nei paesi o nelle campagne, o anche in città, ma in parrocchie scomode ecc., rinnovano i sacramenti, perché vengono da Lei;
3°, molti, per merito del Suo speciale ministero, trovano motivo di fede, di fiducia, di coraggio, di conforto, di pazienza, di costanza ecc., nelle tante difficoltà e tribolazioni della vita;
4°, non pochi dichiarano di aver trovato beneficio anche corporale, oltreché psichico, (ho sentito narrare non dagli stessi interessati, casi di guarigione, dove medici e medicine erano risultate inefficaci...), dopo essere ricorsi al suo ministero...;
5°, nessuno ha trovato motivo per lamentarsi di alcunché di non edificante..
Ed ora termino, raccomandandomi alla Sua preghiera. PACE E BENE!
Dev. P. Giuseppe M. Bortone
° ° °
Ero l’ultimo di una lunga fila di uomini e di donne che si snodava in attesa di varcare una porta sulla nostra sinistra.
Ad intervalli regolari di uno o due minuti quella porta veniva aperta da un giovane alto per lasciar passare una persona che usciva e quindi permettere, a chi era in testa alla fila di entrare a sua volta.
Il cigolare dei cardini e poi il movimento ed il rumore dell’aria mossa dalla porta a vento che sbatteva nei due sensi, wum, wum, scandivano l’avanzare delle persone in attesa.
Sui volti di tutti un’aria seria e, mano a mano che la fila avanzava, aumentava nei capofila la concentrazione. Qualcuno pregava a bassa voce, altri pur non conoscendosi si scambiavano commenti ed esperienze. Si avvertiva nettamente in tutti un carico di dolore e di ansietà.
Non eravamo in fila in uno studio medico, né in uno studio legale, luoghi ove solitamente si allineano portatori di dolore e di angosce; né sui volti si leggevano solo ansie e preoccupazioni.
Eravamo disposti lungo la navata semicircolare di sinistra della chiesa parrocchiale dei Sette Santi Fondatori a Piazza Salerno in Roma e la porta ove tutti lentamente ci dirigevamo apriva su una sacrestìa.
L’intero campionario dell’umanità era lì: vecchi energici, giovani, invalidi, suore, signore impellicciate, casalinghe con la sporta della spesa, operai, mamme con piccoli bimbi, professionisti, ...; tutti con l’aria tesa di chi raccoglie le idee prima di un incontro importante, fondamentale.
Wum, wum, la fila avanzava. Tutte le volte che in seguito ho ripensato a quelle mie attese e a quelle file, mi venivano in mente le lunghe colonne di persone che, ciascuna con il proprio contenitore vuoto, si dispongono con fiduciosa pazienza per ricevere la propria razione quotidiana di acqua, di cibo o di medicine nei luoghi dove è passata improvvisa la tragedia, ma dove contemporaneamente la mano di Dio ha inviato una squadra o una persona in soccorso.
Wum, wum, ormai ero quasi arrivato in testa alla fila. Con sollievo e con noncuranza mi lasciavo talvolta sorpassare dagli altri; avrei così avuto più tempo per prepararmi a questo incontro.
Una cosa mi colpiva però più delle altre: le stesse persone che lentamente avevano fatto la fila con i volti seri e tesi per chissà quali drammi, entrate nella sacrestìa ne uscivano dopo qualche minuto raggianti e sorridenti; solo qualcuno piangeva, ma di commozione o come chi si è liberato o va liberandosi da un grande peso. Camminando con passi veloci e quasi misteriosamente proiettati, si avviavano fuori come sicuri di poter riaffrontare quanto li attendeva.
Cenni di assenso, continua rinnovata speranza, sguardi di reciproca conferma tra quanti come me invece ancora dovevano varcare quella porta. Nel mio animo poi, all’incertezza di dover affrontare una situazione mai sperimentata, si aggiungevano ulteriori interrogativi.
Solo due persone mi erano davanti; tra pochi minuti, due o tre, anch’io sarei entrato.
Wum, wum, rimane solo una persona; wum, wum, ora sono solo in testa alla fila, è ormai questione di secondi.
Non era panico, ma una grande agitazione mi assalì; cosa ci facevo lì, perché ero lì, cosa avrei detto una volta entrato, cosa era giusto dire, a cosa dare la precedenza, quale ordine seguire, quale metodo, cosa dovevo nascondere; ma no, non dovevo nascondere nulla; tutto intorno a me era sparito: la chiesa, la gente, la porta a vento.
Come su di una moviola impazzita, tutte le immagini, i fatti della mia vita mi scorrevano nel pensiero velocissimi, non riuscivo a scegliere; eppure di qualcosa o di qualcuno dovevo parlare, di qualcosa avevo pur bisogno; potrei tornare indietro di un posto e raccogliere meglio le idee. No, ormai non posso più.
Bruscamente il ruotare del tamburo delle immagini della moviola cessò, un vuoto completo mi pervase, nessun pensiero o immagine si formava più.
Wum, wum, il giovane alla porta, il movimento della stessa, la pressione della fila mi sospingono dentro; subito a sinistra un’altra porta si apre, una voce tonante e imperiosa da dentro dice: “Avanti!”.
Entro, la porta mi viene chiusa alle spalle. Dinanzi a me: PADRE GABRIELE!
Carmelo Carlizzi – Roma
° ° °
Ero dal parrucchiere, quando seppi che Gianfranco non lavorava più lì a causa di un grave incidente. Era caduto e costretto per sempre all'immobilità. Giovane, ottimista, bello, sicuro di avere la vita nelle sue mani, all'improvviso aveva perso tutto, vittima peraltro di un vuoto spirituale profondo.
Pensai che se fosse stato in vita Padre Gabriele, solo lui avrebbe potuto scuoterlo da questo torpore che faceva morire lentamente la sua anima. Chiesi di incontrarlo, e capii che questa sarebbe diventata una sua creatura spirituale.
"Come la pensi riguardo alla fede?", gli domandai, mentre cercavo di introdurre un discorso al quale Gianfranco non era preparato.
Mi guardò e alludendo alla sua condizione rispose: "Come vuoi che la pensi? …" .
"Senti, visto che la vita ti ha privato del movimento umano, se vuoi continuare a camminare, al posto delle gambe devi usare l'anima".
"Tu dici questo come se fosse facile, ma non ti rendi conto di che cosa è cambiato, come faccio, non saprei da dove cominciare".
"Te lo dico io Gianfranco, devo scrivere un altro libro su Padre Gabriele, sul suo insegnamento. Mi serve qualcuno che trascriva i suoi discorsi, lo farai tu, ti servirà anche per allenare le mani".
Era titubante, pauroso di non farcela.
Insistetti: "Non ti lascio andare se prima non mi dici sì".
Il giorno dopo era già al lavoro, sapevo che ormai era sotto la guida di Padre Gabriele e ne ebbi la conferma quando Gianfranco mi consegnò tutto il materiale, ove all'ultima pagina c'era scritto così:
"Caro Padre Gabriele, durante questi mesi in cui mi hai tenuto compagnia, mi hai dato modo di riflettere e pensare a tutte quelle verità che ognuno di noi dovrebbe sapere. Il modo in cui tu ce le fai capire merita una sola risposta: credere nella Fede.
Purtroppo il mondo in cui viviamo ci porta troppo spesso a considerare solo i valori materiali, sempre se valori si vogliono chiamare. Dico questo perché, ascoltandoti, ho riflettuto invece molto più a lungo su quello che è realmente valore nella vita terrena, seguendo i1 quale si può vivere più tranquillamente, più in pace con sé stessi e con gli uomini. Mi sono reso conto che le tue parole tese al raggiungimento della pace interiore, della propria onestà per poi vivere bene con il prossimo ed essere in qualche modo a lui utile, devono essere prese in seria considerazione, e si può trarre da esse un insegnamento utilissimo, quale è stato per me. Nei tuoi discorsi, in ognuno degli argomenti da te trattati, ho fatto tesoro dei tuoi consigli. In ogni meditazione non si può fare a meno di riconoscere una forte e semplice verità.
Durante il mio lavoro spesso ho pensato a quante cose si potrebbero evitare con un piccolo impegno, seguendo quella giusta strada aperta da sempre a noi tutti.
In tutti i tuoi argomenti, riscontro sempre quella forza che è in te, quel filo conduttore che collega ogni verità da te trattata: la Fede, la fede che tu ci dai, che ci insegni, che ci trasmetti per conto del Signore, e la doni a noi tutti senza distinzione alcuna. Spero che ogni persona che riceverà questi tuoi nobili messaggi, li segua con tutta la serenità necessaria. Ma ti prego, aiutaci, dacci la forza e tienici lontano dal male, quel male in agguato, costantemente, non appena cediamo a lui.
Io sono un nuovo fedele, ma ho imparato quali sono le regole per questa vita terrena piena di insidie, grazie anche al tuo aiuto. So che hai fatto sempre del bene e hai aiutato costantemente tutti senza neppure sapere chi fossero. Continua, ti prego, a vegliare su di noi.
Gianfranco "
Le parole di Gianfranco sono certamente le stesse che ti rivolgono tanti altri, caro Padre Gabriele, e a queste io voglio aggiungere la mia personale preghiera per averti sempre al mio fianco nella guida della tua Opera attraverso la quale la mia vita oggi riflette i colori della fede e dell'amore verso il prossimo.
Gabriella Pasquali Carlizzi - Roma
° ° °
La sera del 14 novembre 1987 mi apprestavo ad andare a letto, contenta che l'indomani, in occasione della Via Crucis al Monte dell'Orazione, avrei potuto raccontare ai fedeli alcune importantissime testimonianze relative a recenti interventi straordinari di Padre Gabriele. Questo pensiero mi riempiva di gioia così come ogni volta che rivelavo la grandezza di questa anima. All'improvviso ed inspiegabilmente caddi a terra, facendomi molto male ad una gamba, peraltro già malandata. Il dolore era violento, passai tutta la notte sveglia, ma la certezza che l'autore dell'incidente fosse stato il demonio per ostacolare ogni testimonianza di fede, fece sì che volli a tutti i costi andare ugualmente al pellegrinaggio. Al ritorno dal Monte mi recai presso il pronto soccorso del Policlinico Gemelli ove le radiografie evidenziarono un forte trauma alla rotula che richiedeva l'immobilizzazione dell'arto. Ero talmente sicura circa la fonte di tutto ciò che rifiutai il trattamento medico chiamando in aiuto Padre Gabriele.
Lo sentii subito accanto a me e senza esitare scesi dalla barella camminando con disinvoltura come se nulla fosse accaduto. Il Signore aveva vinto in modo tanto evidente che intuii subito che sarei stata nuovamente attaccata e con più rabbia.
Dopo quindici giorni ricaddi, facendomi male nello stesso punto. Capii che la situazione era grave. Infatti il professore al quale mi rivolsi diagnosticò che bisognava operare d'urgenza. Anche questa volta rifiutai l'intervento, accettando solo di essere ingessata, benché l'ortopedico ritenesse fosse inutile un mese di sacrificio, quando in ogni caso si sarebbe dovuti ricorrere alla chirurgia.
Ho trascorso questo periodo serenamente, cercando di non tralasciare nessuno degli impegni familiari e della Associazione di Padre Gabriele, anzi scoprivo con soddisfazione che i miei entusiasmi non erano stati condizionati da questo incidente.
La sera del 3 gennaio 1988 salutando mio marito e i bambini per la buona notte, dissi scherzosamente: "Vado a letto presto, perché questa notte Padre Gabriele mi deve operare".
L'indomani mattina, recandomi all'appuntamento per togliere il gesso, dal controllo radiografico risultava una situazione normalizzata come da intervento chirurgico. Tornando a casa l'arto, anziché manifestare le conseguenze dovute alla prolungata immobilità, presentava i sintomi chiari ed evidenti simili ad un trauma post-operatorio, quali una accentuata flagosi nella regione della lesione ed un ematoma di recentissima formazione. La guarigione veniva confermata dal fatto che camminai subito bene, sfatando ogni ulteriore perplessità.
I1 giorno dopo recandomi come al solito in Associazione, la persona che per tanti anni ha prestato la sua opera a Padre Gabriele, ancora ignara dell'esito scientifico della mia malattia, mi venne incontro dicendo: "Signora, ieri mattina alle quattro ho sognato il Padre che mi ha detto: vai in Associazione, e prendi la tovaglia ricamata per l'altare; dovete far celebrare una messa di ringraziamento per la grazia ricevuta". Ascoltando queste parole ho provato una grande commozione, riconoscendo in esse ancora una volta sul mio cammino la presenza di quella guida spirituale che porta il nome di Padre Gabriele.
Era il mese di novembre del 1988, arrivai in Associazione di buonora. Quella mattina dovevo pagare una fattura di dieci milioni per gli approvvigionamenti alimentari che vengono devoluti in favore dei poveri. Non avevo tutto il denaro in cassa; e perciò sarei dovuta ricorrere al conto corrente. Guardando la foto di Padre Gabriele, posta sulla scrivania ove lavoro, mi rivolgevo tacitamente a Lui quasi a volergli dire: "Ma insomma, tu che stai lassù e puoi fare più di prima, perché questa mattina mi costringi a fare un assegno? Che ti ci vuole a mandare qualche anima generosa?". Sorridevo, un po' per la confidenza con la quale chiamavo il suo intervento, un po' per la gioia che scaturiva scoprendo in me tanta fede.
Dopo circa mezz'ora, mi veniva annunciato che una signora desiderava parlarmi un momento. La ricevetti.
"Lei è la signora Carlizzi?".
Annuii.
"Sono venuta a trovarla”, aggiunse la signora, “perché tanto tempo fa ho fatto una promessa a Padre Gabriele che so di dovere mantenere oggi”, e così dicendo pose nelle mie mani un assegno con un’offerta di dieci milioni! Come sempre Padre Gabriele aveva risposto. La sua presenza nell'Opera alla quale ha dedicato la vita è continua, inequivocabile, consapevole che ciò che è voluto da Dio non muore, ma cresce nel tempo.
Gabriella Pasquali Carlizzi - Roma
° ° °
Signor direttore dei Volontari della Carità, sono una figlia spirituale di Padre Gabriele e tra le più piccole. Pensi che Lui mi chiamava “formichina mia” e mi diceva tante cose che mi riguardavano. Grazie per avermi dato l'opportunità di scrivere su Padre Gabriele. Nell'anno 1983 gli dissi che desideravo tanto morire, e Lui mi rispose: "Sta’ buona figlia, nell'84 andremo dal Signore". Un'altra volta mi disse: "Cerca di finire di cucirti il vestito bianco qui, perché in Purgatorio è molto doloroso finirlo di cucire". Il fatto che disse "nell'84 andremo dal Signore", dice chiaramente che parlava di sé stesso che per quell'epoca avrebbe completato di cucire il vestito. Capii questa verità solo dopo la sua morte.
Un'altra volta mi disse di pregare e riparare per i massoni, perché Torino ne ha tanti e dicono anche le messe nere. Mi disse anche che la Madonna è di una dolcezza infinita, e che quando si addormentava sul monte dell'Orazione, Lei all'ora giusta con tanta dolcezza lo svegliava. (1)
Era morto il parroco del mio paese, gli chiesi se stava in Paradiso, mi disse di no, che stava in Purgatorio e di pregare per lui. Dopo molto tempo gli domandai di nuovo se era andato in Paradiso mi disse di sì e che mi ringraziava per aver pregato per lui.
Stavo male e mi dovevo operare un tumore alla mammella, andai da Lui e gliene parlai, mi disse di non sprecare neppure un attimo di quella sofferenza, ma di unirmi, valorizzandola, nella sofferenza di Gesù. Mi disse: "Ora ti operano qui, poi all'altra mammella e poi al fibroma", tutto si avverò così.
Nel primo intervento dell'81, stavo molto male e soffrivo, mi sentivo il letto bruciare, gli telefonai e venne in ospedale al Policlinico Umberto I. Come arrivò nella stanza mi disse che sentiva puzza di bruciato e dopo che ebbe fatto tante preghiere tenendo la mano sulla mia testa, mi disse: "Ora il diavolo che ti tormentava è andato via e starai meglio perché è scappato via con il mio intervento" e così accadde.
Mi disse un'altra volta: "Quando io sarò andato su attenta, che se tu non camminerai bene nella via del Signore, tu non mi sfuggirai, ma ti prenderò per i capelli e a tutti i costi ti trascinerò su". Ora che Lui non è più sulla terra sento che mi è vicino e che mi aiuta a camminare bene nella via di Dio.
Suor Maria Elena
(1) Sappiamo questo anche dalla signora Maria Fiorini, una tra le principali collaboratrici di Padre Gabriele e presidente dell’Associazione fra i Volontari della Carità sino al 1985; infatti il Padre le aveva riferito che la Madonna al Monte lo svegliava al mattino bussando delicatamente alla porta dell’Eremo.