Omelie trascritte

DALLE MEDITAZIONI DI PADRE GABRIELE

I testi seguenti costituiscono le trascrizioni integrali

di alcune sue omelie

pronunciate in occasione degli Esercizi Spirituali

 

Tali omelie sono riportate anche nel libro

Insegnamento e vita di Padre Gabriele Maria Berardi”

di Gabriella Pasquali Carlizzi

 

 

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LA SANTA MESSA


La Santa Messa, fu per Padre Gabriele uno degli argomenti che volle affrontare quale tema fonda­mentale della vita. Ne spiegò tutto il contenuto insegnando a viverla attimo per attimo, come rin­novamento di ciò che Cristo aveva vissuto sulla croce.

Con semplicità e naturalezza tipiche della sua natura, spiegava:

 

Sin dal principio, a giusto titolo, con diritto, il Signore ha richiesto l'omaggio della sua creatura, ha voluto che l'uomo, riconoscente per il dono della vita e la provvidenza di ogni giorno e le grazie conti­nue, lo lodasse continuamente, lo onorasse, lo ado­rasse e gli offrisse un sacrificio di propiziazione a misura dei bisogni, delle grazie o anche per l'espia­zione dei peccati che avrebbe commesso.

Abele cominciò per primo. Il Signore – dice la Scrittura – gustava tanto il profumo dei sacrifici di Abele, offerti con tanta innocenza e semplicità. Cosa volete che fosse un agnellino, una pecora, una povera insignificante creatura offerta al suo padrone, al proprietario, al Creatore e già padrone di tutti e di tutto?

L'offerta è ben gentile, l'offerta di un bambinetto che prende nelle mani stesse della persona un con­fetto, un dolce e glielo offre, è gentile, ma non è roba sua, è il gesto che piace, l'offerta in sé stessa non è gran cosa, soprattutto nei confronti di Dio.

Giù lungo i secoli, questo profumo aumenta, que­sti sacrifici si moltiplicano. Anche Noè, appena uscito dall'arca, accende il fuoco, offre il sacrificio di ringraziamento, per la salvezza, per essere stato preservato. Il Signore tanto gustò questo sacrificio che fece un giuramento. La Scrittura usa delle parole che sembrano inesplicabili, il Signore che si pente come di un male che ha commesso.

Dice la Scrittura: "Davanti al profumo di questo sacrificio, all'innocenza, alla pietà, alla fede di questo suo servo, il Signore, guardandolo così buono, si pentì di averlo punito tanto severamente e giurò di non mandare più il diluvio sulla terra per questo piccolo sacrificio".

Così Abramo va sul monte, per ordine di Dio, accompagnato dal figlio, con la legna e tutto il necessario per offrire un sacrificio. Anche se fosse stato suo figlio, l'unico, il figlio della promessa, davanti al Dio dell'Universo che comanda il cielo e la terra, davanti al quale gli Angeli sono sempre prostrati, le Podestà e le Dominazioni – come dice la Chiesa – tremano, cosa volete che sia un bambino, una vita, vita umana, una creatura? Nonostante tutto il Signore l'ha chiesto; Abramo obbedisce ed ecco è pronto ad immolarlo.

Il Signore, l'ha già gradito. Basta! Non vuole spargimento di questo sangue.

E là vicino c'è già il sostituto, c'è un'altra crea­tura che Dio ha preparato per prendere il posto del figlio.

E il Signore gradisce adesso il sacrificio che Abramo offre insieme a suo figlio. Perché? Perché quell'ariete, quella bestia offerta, trovata lì, provvi­denzialmente per disposizione di Dio, era poi tanto gradita e il Signore gustava tanto questa specie di sacrificio?

C'è un'altra ragione. Così attraverso tutta la sto­ria del popolo di Dio questi fuochi si accendono lungo il corso dei tempi, dei secoli, fino alle porte di Nazaret. Là finisce! Eh già, il profeta l'aveva detto: "Cosa fate voi altri?". A nome del Signore diceva: "Cosa state facendo? Ma mi avete preso per un buongustaio? No! Io non mangio la vostra carne, io non gusto i vostri sacrifici, a che mi servono?".

Intanto aveva gradito il sacrificio di Abele, di Noè, di Abramo e di quanti nella fede e nella pietà gliel’avevano offerto, in quanto in quel sacrificio c'era un altro ricordo, c'era un merito! Era un simbolo, era il ricordo di un sacrificio di cui adesso parla il Signore: "Finitela con i vostri sacrifici; di agnelli, di bovi, di arieti non so più che farmene. Ecco, venite a vedere adesso, questo è il sacrificio. Su tutta la terra in ogni parte del mondo si offre a me un sacri­ficio immacolato e puro".

Quelli non erano che il simbolo, questo la realtà, e questa realtà convalidava quei simboli.

Questa dolce realtà, questo mistero, questo valore infinito dava virtù a quelli, e il Padre gradiva quei sacrifici in vista di questo: il sacrificio adora­bile, inestimabile, amoroso, generoso, di Gesù Cri­sto stesso, figlio di Dio nostro Signore, agnello di Dio venuto ad immolarsi per togliere i peccati del mondo. In ogni parte del mondo si offre: se offerto sul Calvario invece, e non in ogni parte, è offerto una volta.

Cristo è morto una volta - dice S. Paolo - e non muore più, basta! Iam non moritur, e la morte non lo dominerà più!

Allora com'è che si offre e si continua ad offrire in ogni parte del mondo quest'Ostia immacolata e pura, profumata e santa? Fra qualche istante noi avremo la risposta.

La Santa Messa è la rinnovazione identica, fedele, autentica del sacrificio cruento del Calva­rio; sacrificio ora incruento. Ma Lui stesso si offre, quello stesso Gesù Cristo, figlio di Dio, nostro Fra­tello nella nostra carne, nel nostro sangue che ha preso, ha divinizzato, sacrificato, ha reso innocente e splendido perché fosse degno del Padre lo offre in ogni luogo, e si offre.

Ma guardate bene qui, è Cristo, Gesù, figlio di Dio, l'Onnipotente che offre sé stesso immacolato a Dio nella nostra carne.

Approfondiamo bene prima di tutto il significato di questo dolcissimo, adorabile, salutare mistero.

Dice S. Paolo - ed è lo Spirito Santo che in lui parla -: "Io vedo Cristo che si alza, solleva anche me, vedo Cristo che avanza, trascina anche me, vedo che sale il Calvario, porta anche me, porta con la Croce il peso dei miei peccati, su quelle spalle che sono mie, sono le mie ossa, quelle, non la sua carne. Dio non ha la carne, non ha le ossa, se ce le ha, le ha prese da me. E perché io non sarei mai stato capace, non avrei mai avuto il coraggio di arrivare fino a lì, di amare il Padre fino alla fine. E di amarlo così puramente, così divinamente, così degnatamente, così perennemente.

Allora, vedendo attraverso i secoli la mia buona volontà - è lo Spirito Santo, è S. Paolo che parla a nome dell'umanità - vedendo i miei sacrifici, i miei piccoli fuochi accesi, la mia retta intenzione, la mia volontà, il desiderio di onorarlo, Cristo ha fatto come il grande che si avvicina ai piccoli, che mostrano solo la buona volontà, ma non hanno le forze, le possibilità: “Dammi qua, lo farò io per te”. Ha preso tutto da questi piccoli e poveri incapaci, inetti sulla terra, ha preso per sé tutto, e poi è andato su ad offrire il sacrificio; non ha fatto come Abramo che ha caricato il figlio della legna. Ha dato lui il necessario! Cristo l'ha preso con sé: ha preso la legna, ha acceso il fuoco, ha celebrato, ha consu­mato il sacrificio in sé stesso, con la mia carne, però, nella mia carne, che Lui ha preso, per sé, ha fatto sua per elevarla, per divinizzarla, per purifi­carla, per imbiancarla, per renderla degna del Padre ed offrire così il sacrificio.

Quando Cristo sale sulla Croce, io ci sono, sono con lui. Cristo, "confixu sum cruci" - dice S. Paolo - è stato croficìsso, si è fatto crocifiggere, ha croci­fisso anche me.

I chiodi attraversano la mia carne, con la sua divinità. Ha preso il mio peccato, l'ha pianto, l'ha pagato, l'ha lavato, l'ha distrutto. Nel sacrificio, nelle consumazioni di questo sacrificio, il Padre l'ha voluto spezzare, stritolare, un termine spaven­toso che si può solo spiegare con le similitudini del grano, del frumento sotto la macina, l'ha voluto stritolare, ma ha stritolato in Cristo la mia carne.

È importante questo concetto, perché noi vediamo qui fino a che punto dobbiamo doverosa­mente partecipare al sacrificio di Cristo, noi ci siamo dentro, ci siamo per pagare, ci siamo per guadagnare, ci siamo per dare, ci siamo per rice­vere.

Diamo a Cristo il peccato, la povertà, la miseria, prendiamo da lui l'innocenza; diamo a Lui quel che è indegno e peccato e Lui attraverso, se si può dire così, il procedimento severissimo della sua pas­sione e dell'olocausto, attraverso il fuoco della sof­ferenza, ci restituisce bianchi, candidi, immacolati, accetti al Padre. Ecco, questo è il sacrificio di Cri­sto; questa però e la Santa Messa. Non andate sul Calvario a cercare le orme di Cristo, non andate per vedere dove s'è fermata la Veronica, dove è stato sepolto. Abbiate fede, non è mica più là, è qui in mezzo a noi: "Resterò con voi, soffrirò con voi, mi offrirò a voi e per voi".

Ecco, perché la Chiesa nella Santa Messa ci prende tutti, ci serve in una cosa sola: Cristo! E poi pronuncia quelle parole meravigliose che il Signore stesso ci ha suggerito, non avremmo osato tanto, l'abbiamo in mano, l'abbiamo nel cuore, l'abbiamo nella mente, nelle ossa, nella carne, nel sangue.

E allora tutti insieme, nessuno eccettuato, comin­ciando dai più cattivi, noi gridiamo: Padre te ne supplico, te ne supplico, guidaci, volgi a me il tuo sguardo, adesso questa è l'offerta degna di te, offerta nella quale, io offro me stesso, per Lui, insieme a Lui, perché Lui è in me ed io in Lui, ed in Lui, nascosto in Lui e Lui in me.

Allora sì che si può dire: il Padre guarda benevolmente e gusta il profumo di questo adorabile, bellis­simo sacrificio. Eh sì, è vero, adesso sì che è profu­mato.

Aveva ragione il profeta ad annunciare già anni, anni e anni prima in tutta la terra, in tutto il mondo: "Si offra a me una vittima, un'ostia immacolata"; ma ripeto, quello che a noi sta a cuore di tenere presente, è che non è un sacrificio estraneo, non è un'offerta che non ci interessa, non è una cosa nuova, lontana da noi, ma è una cosa nostra, è la vita nostra: "Cristus vita nostra!". E' la nostra sorte, e con Lui assicuriamo la nostra eternità. Adesso, intanto, la nostra innocenza, il nostro perdono, la misericordia di Dio ha preso tutto. E ogni giorno lo ripete, in ogni chiesa, in ogni Santa Messa, in ogni luogo, anche per le mani di un indegno, perché offrire una cosa santa anche con le mani sporche, la cosa rimane sempre santa, benché le mani non siano degne. In ogni luogo dove si celebra una santa Messa, Cristo si offre: "Io mi offro".

In America, dovunque adesso si celebra, in India, nell'Alaska, dovunque si può immaginare, vedere un sacerdote che offre, io sento, sento l'anima mia, sento me stesso, il mio essere trasportato lì, offerto a Dio, insieme a Dio, in Gesù, con Gesù, per Gesù. Perché è stato detto con verità: "In omnibus Cristus"; Cristo è in tutti e in ciascuno di noi. Quando offrite Cristo, offrite tutti e ciascuno e tutte le cose sono racchiuse in Lui come in un'urna; quando offrite Lui, offrite il tutto. Diciamo con la Scrittura: con grande allegrezza e gioia sento che pesa que­st'offerta, sento che vale, sento che è grande, che è immensa, che è smisurata; allora adesso, offren­dola, io sento che non offro quest'oggetto, questa cosa definita, ma io offro l'universo.

L'universo è in te, o Cristo, e offrendo Cristo offro l'universo.

Chi potrebbe mai reggere - dice Giobbe - se sotto il peso dei suoi passi le colonne che reggono il cielo piegano, chi potrebbe reggere il peso, il valore espresso, sentito, di questa offerta, di questa vit­tima? Come è grande, come è immensa, come è santa, divina, degna di Dio!

Ecco la nostra Santa Messa, ecco il nostro sacrifi­cio, ecco quanto vale, ecco quanto ci interessa, ecco come ci siamo dentro, ecco i benefici che pos­siamo risentire tutti, ecco le grazie che ci sono messe a disposizione. Quante volte abbiamo inteso anche nei libri di devozione, nei libri spirituali, espressioni come queste: "Beato l'apostolo S. Gio­vanni, ai piedi della croce, beate le pie donne, beata la Maddalena che ricevette sul suo capo la pioggia adorabile del sangue preziosissimo di Gesù".

Ma perché invidiare quelli così lontani che non hanno avuto che una volta sola queste grazie, que­sto dono che noi abbiamo tutti i giorni, e più volte al giorno? E continuamente, e direi quasi con mag­giore ragione, con più profondità, con più esten­sione, perché adesso il mistero di Dio è completo, quel mistero che lì si formava, che lì si celebrava, lì si compiva, adesso è completo, noi siamo in mezzo all'abbondanza, alla completezza del mistero, adesso non manca niente, adesso abbiamo il tutto, cosa andate a piangere la parte, se avete tutto, voi? Che se poi - dice quel santo - non siete contenti, non siete sazi di Cristo, che ci vorrà dunque per saziarvi?

E così che dobbiamo credere, adorare, benedire, ringraziare il Padre, propiziarlo, chiedere perdono, misericordia, chiedere grazie, chiedere aiuti, chie­dere la vita, la luce, tutto quello che c'è di bene in cielo e che ci può essere di santo, di buono, di degno sulla terra, per Lui, con Lui, in Lui.

Adesso e in tutti i tempi, qui e in tutti i luoghi. Oh non è a caso, sapete, non è una pia devozione quella che vi suggerisce di unirvi a tutte le Sante Messe che si celebrano sulla faccia della terra. Non è una devozione, è un dovere, poi se non lo fate, peggio per voi.

Di fatto, materialmente, necessaria­mente, voi ci siete, perché si offre il tutto, voi siete una parte di questo tutto. Si presentano i bisognosi, e voi ne avete di bisogno, voi siete poveretti, come tutti; voi avete bisogno di grazie, di misericordia, è lì che si distribuisce; avete bisogno di purificazione, è lì che si compie la purificazione.

Quanto è grande, buono, amabile, generoso il Signore verso di noi! Chi mai avrebbe potuto sola­mente immaginare che Dio arrivasse fino a questo punto! Quanto incomprensibili, alti, profondi sono i misteri dell'amore infinito di Dio. Ci ha amato con un atto di amore che non finisce più, che dura in eterno: "Vi ho amato con carità eterna".

Ma carità effettiva, attiva, non ideale; non è una parola, non è un suono; è vita, è azione, è purifica­zione; ha voluto che questo sacrificio fosse offerto per sempre, per tutti. Vedete veramente come è copiosa la redenzione davanti a Dio; non è morto solamente lassù, una volta: muore continuamente, misticamente, per noi, in noi e con noi. Ci accompa­gna dappertutto, in ogni situazione, in ogni stato d'animo e interpreta tutti i nostri desideri, tutte le nostre aspirazioni, e le fa sue. E ogni giorno racco­glie il tutto e l'offre, l'offre continuamente.

Il tempo che batte il suo ritmo affrettato, ogni istante che passa - noi sappiamo dalla statistica che ad ogni istante, vedete il minutino che frettolo­samente passa sulle lancette dei secondi - ad ognuno è stata assicurata una Messa completa, fra coloro che cominciano, che continuano, che fini­scono, una Messa completa sale al trono di Dio, ci purifica, ci santifica ad ogni istante. Un istante, uno sguardo, un movimento, è già un sacrificio perfetto, è già un ritocco efficacissimo, è già un perdono, un'elargizione di misericordia infinita.

Come si fa a perdersi? Come fa il mondo ad andare a male? Vedete, non è più difficile perdersi che salvarsi in un piano di redenzione così vasto così profondo, così abbondante, così amoroso?

Perché, teniamo ben presente, questo non è un meccanismo ideato una volta e che scatta automa­ticamente senza che nessuno se ne occupi! Qui è l'anima che vive, è la volontà di Dio che vuole! È il suo amore che agisce, è la sua carità, è la sua mise­ricordia che continuamente opera, volontaria­mente; non è un movimento meccanico, quello della Messa, che comincia, continua e finisce, durando più o meno, con l'attenzione più o meno dovuta, di chi celebra e di quanti l'ascoltano.

Pre­scinde il Signore da tutte queste cose benché ci tenga e sia doveroso che ci siano queste cose. Il Signore guarda il suo divin Figliolo, che sia con­dotto al tempio dalle mani della Madonna - oh benedette mani! -, o che sia condotto sul Calvario dalle mani dei manigoldi - oh povere mani! -. Ma è sempre Cristo, è sempre la vittima, è sempre il figlio di Dio!

Come è perfetto il piano di Dio, come ha previsto tutti i difetti che potevano esserci, tutti gli intralci che avremmo potuto mettere noi, povere e misere creature! Ma è annullato tutto, tutti i tentativi di frustrare il piano di Dio sono stati da Dio annullati, distrutti in precedenza, in visione, in previsione del sacrificio del suo divin Figliolo, per il quale dovun­que sia, che si offra in queste o in quelle creature, in questo o in quel luogo, il Padre è sempre lì, pronto con tutto il Cielo, con tutte le glorie, ad abbrac­ciarlo, ad accoglierlo, ad esaudirlo.

E stato sempre esaudito per la sua divina, infinita reverenza - dice la Scrittura - e il Padre glielo dimo­stra, gliele ripete sempre, quelle parole benedette, ineffabili, beneficanti: "Tu sei il mio Figlio diletto, in te io mi sono compiaciuto", figlio diletto rivestito di carne, figlio diletto nell'anima mia, con l'anima mia, figlio diletto che si regge in piedi e si presenta con le mie ossa. Io sono il figlio diletto in Cristo, per Cristo, con Cristo, per i suoi meriti, per il suo sacrifi­cio.

Nella Santa Messa d'ogni giorno, in questo calva­rio che continua, in quest'offerta che fuma sempre, che regge lo sdegno di Dio, che allontana i cattivi da noi e ci assicura la vita eterna.

Oh se potessimo conoscere bene, se sapessimo approfondire e comprendere nelle misure possibili le grandezze di questo dolce mistero! Oh, quanto diversamente noi assisteremmo alla Santa Messa, con quale avidità, noi andremmo, con quanto amore, con quanta fede e con quale beneficio noi sentiremmo l'abbondanza dei meriti, delle grazie, degli aiuti, della misericordia di Dio per Gesù Cri­sto, Nostro Signore, che si offre per noi, in noi, con noi ogni giorno.

Adesso, in omaggio, in ringraziamento per espri­mere la nostra gratitudine, a tanto beneficio, a tanto mistero, a tanto amore, prepariamoci ad affrontare insieme agli angeli e ai santi, che sono qui presenti più di noi, insieme alla Madonna, alla Vergine San­tissima, in unione con Gesù, questo divino sacrifi­cio; sia benedizione per noi come per gli eletti, sia perdono anche per noi come per i peccatori perdo­nati, sia anche per noi vita eterna come il Signore ha stabilito nel suo piano d'amore.

Al ritorno dall'esilio, dalla cattività di Babilonia, gli Ebrei andarono a cercare dove fosse il fuoco sacro, che non si spegneva mai nel tempio, e trova­rono, scritto in un libro, che era stato nascosto - questo fuoco - nientemeno che in un posto profon­dissimo, anni e anni prima. Immaginate bene che era spento!

Scesero giù, trovarono quel che era stato scritto, ma trovarono della melma naturale! Il Signore disse: "Prendete quel fuoco", era fango; "portatelo su", era spento; "mettetelo sull'altare, sul sacrificio".

Immediatamente, al primo contatto, con questo fango, che un giorno era fuoco, gettato, spalmato sopra il sacrificio già pronto, divampò la fiamma, divenne un grande cratere.

Vedete, è quello che succede continuamente per noi. Siamo ferro, siamo fango, siamo poca cosa, spesso spenti. Si tratta di avere il coraggio, la fidu­cia, la fede e prenderci e trascinarci ai piedi dell'al­tare e poi mentre il sacerdote sale, mentre il sacer­dote offre, offrirci alla vittima; dal fango viene fuoco, dalla materia viene lo spirito e dal freddo il calore della devozione.

Perché è Lui il fuoco, è Lui la fiamma invisibile! Allora vediamo un po' questo miracolo come si può ottenere. Noi che poveramente, miseramente, inde­gnissimamente, tutti i giorni assistiamo al sacrificio, vediamo quali sono le condizioni, le disposizioni per poter partecipare al sacrificio, avere parte al sacrificio, unirci al sacrificio, essere santificati dal sacrificio che Cristo celebra, offre ogni giorno per noi, con noi, in noi, davanti a noi.

Primo: unione con Cristo nella devozione, devo­zione eterna. State composti in Chiesa, non parlate, non guardate attorno, non vi divagate. In Chiesa, se siete uno, se siete cento, in Chiesa per ciascuno di voi vale questa verità: "Son venuto qui per Lui, Lui è qui per me. Chi canta in questo momento è Lui per me, io per Lui, non vedo nessuno, non sento nes­suno". In questo momento, massimo raccoglimento, ci vuole unione di devozione, compresi, rac­colti, uniti, e se pure qualcuno ci deve stare vicino quegli sono gli angeli, gli angeli dai quali voi impa­rerete ad adorare, che vi danno lezioni di devo­zione, di raccoglimento; solo con gli Angeli davanti a Dio, in Cristo, a dare a Dio la massima gloria che si possa nella terra, sulla terra, in cielo, nel tempo e nell'eternità, più di quanto non può dire nessuno, nemmeno gli angeli in cielo. La gloria che dà Cristo, e noi in Lui diamo al Padre, la stessa gloria così per Lui, per mezzo Suo.

Entrando dunque preparatevi prima se volete gustare la Santa Messa, preparatevi dentro; sapete che all'ora tale c'è la Messa, la mattina appena vi svegliate sapendo che fra qualche ora, fra un'ora sola forse, c'è la Santa Messa, pensate: "Tra qual­che momento sono ai piedi del Signore, sono ai piedi del Padre con Gesù, in Gesù".

Ecco, questo pensiero che voi fate, è la verità nella quale trovate Cristo. E già Cristo, mentre voi fate questo pensiero e avete questa devozione, Gesù di già è con voi, vi prepara, gli angeli sono attorno. Fate il vostro dovere, tutte le vostre preghiere, fate il segno di croce, fate bene le devozioni, le genufles­sioni, e cominciate intensamente la preparazione. E poi al suo arrivo unitevi al sacerdote, con lui salite l'altare, in spirito, insieme a lui offrite la vittima e insieme alla vittima offrite voi stessi.

Questa è la Santa Messa vedete! La Messa dei fedeli. "Ti offro questa Ostia santa, questo sacrificio non solo per me, non solo per i presenti, ma per tutta la famiglia dell'umanità, tutta riunita insieme qui sull'altare".

Ecco, almeno voi che siete presenti, voi che ci vedete, voi che ci sentite, voi che siete stati invitati al banchetto, siatene degni, siate com­posti, abbiate questa educazione celeste nell'assis tere al banchetto insieme agli angeli. Siamo in casa di Dio! Siamo vicini a Cristo, siamo con Lui! Insieme agli angeli che fraternizzano con noi e invi­tati da loro, noi dobbiamo comportarci come loro.

Ecco, questo è il concetto che ci deve raccogliere, che ci deve preparare, che ci deve disporre e ci deve dare le disposizioni necessarie per accompagnare Gesù in tutto il tempo del sacrificio.

Devozione! Raccoglimento! E poi, unione di intenzioni. È Lui che sa tutto, che vede tutto, che sente, che conosce le vostre necessità, che sa come si deve offrire, pre­gare, quali intenzioni danno più gloria al Padre. Lui sì che lo conosce, Lui conosce il Padre.

Nella Santa Messa, le preghiere della Santa Messa ditele con amore. C'è chi durante la Messa recita il Rosario; è una preghiera, va bene, a condi­zione però che sia con la meditazione dei misteri che voi recitate e che qui si vivono, che qui si ripe­tono, che, insomma, la vostra mente, l'anima vostra sia con Cristo, qui sull'altare, anche recitando il Santo Rosario. Qualche altra anima ha seguito la devozione di meditare la passione. Benissimo! Però fatelo con ordine, con l'ordine che è stabilito nel sacrificio che si offre. Anima ci vuole, è lo spirito che vale, il resto non vale niente. E Dio, puro spirito bisogna seguirlo con lo spirito, con l'anima. Dio cantò amore, bisogna seguirlo con tutto il fervore, pregarlo così, come prega Gesù, in unione alla sue divine preghiere e intenzioni.

E poi, seguire le azioni della Messa. Incominciare col chiedere perdono, col fare penitenza, atti di con­trizione perfetta, e su di voi, prostrati, su di voi che pregate e che siete pentiti, comincia già a scendere la parola di Gesù: "Perdona loro, misericordia voglio e non sacrificio. Io per loro adesso sacrifico me stesso, perdona loro, Padre!".

Si è immolato a nome di tutti, ha pagato il debito per tutti, anche se ieri la giornata è stata triste e carica di colpe, negligenze, trasgressioni, ebbene, inabissatevi nell'umiltà, nella convinzione pro­fonda, nel senso profondo della vostra indegnità e scavando profondo questo abisso di umiltà, lasciate che lo riempia la misericordia di Dio.

"È per loro che io sacrifico me stesso", e il sacrifi­cio comincia, seguitelo, pregate con la Chiesa uni­versale che è tutta presente qui, benché altrove si preghi ugualmente, perché c'è Dio, perché è Lui che prega e in Lui l'universo prega. Pregate, sentite le preghiere della Santa Messa, recitatele, se avete tempo, magari ripetetele se trovate che c'è ancora un po' di tempo; dopo le lezioni, le epistole, se c'è qualche piccolo spazio, ripetete quell'espressione, quei sentimenti che si adattano meglio allo stato d'animo di oggi, di questa giornata e poi col sacer­dote continuate a purificarvi, con Cristo continuate a lavarvi.

Pregate, supplicate, implorate da Dio la misericordia, chiedete a Lui il bagno della sua gra­zia, seguite il sacerdote quando si lava le mani. Ma per ascoltare così, come si fa? Bisogna aver fede! Bisogna credere! Se si crede si sente. "Chi crede sente e sa quel che dico", diceva S. Agostino e prima S. Paolo.

Ecco, bisogna credere! Fate continui atti di fede; ripetete voi le parole, la confessione, la professione di fede che precedette di poco il miracolo, la resurrezione di Lazzaro, la professione di fede di Marta: "Io credo che tu sei il Cristo, figlio di Dio vivente, qui presente, venuto proprio per me, per la mia salvezza".

Unitevi alla professione di fede dei santi e dei martiri, alla fede se si può dire, ma non è fede perché è visione, all'espressione di fede degli angeli e dei santi in cielo. E adorate, e amate, e desiderate, e pregate e supplicate sempre con Lui, da Lui non vi staccate mai; dal momento che voi fate da soli, già non valete più niente, la vostra preghiera ricade. Mettetela in Lui e così vi avvici­nate alla Santa Comunione. Quando nella Santa Messa vi avvicinate alla Santa Comunione pensate bene alle parole che dite: "Non son degno". Se in voi c'è qualche piccolo risentimento, se c'è attacca­mento a voi stessi, se c'è attaccamento alle vostre cose, se c'è qualche resistenza all'obbedienza, guar­date tutto il panorama della vostra vita, della vostra volontà, delle vostre intenzioni, togliete tutto perché ci porti dalla sua parte il Signore. Aprite tutto, spa­lancate tutto perché possa penetrare, invadere tutto il Signore.

Queste son le comunioni che fanno i Santi!

Preparatevi bene e recitate le preghiere meravi­gliose che il sacerdote recita sottovoce, per conto suo. Ditele insieme a tutta la Chiesa, insieme agli angeli e ai santi, ditele come le direbbero le anime che adesso sono in cielo a contemplare questo mistero.

È così che si ascolta la Santa Messa, così che si partecipa al santo sacrificio, così che si scende da questo mistico calvario. Se non come Giovanni almeno come la Maddalena, almeno come quelli che pur avendo peccato fino e pochi minuti prima, adesso compìti scendono battendosi il petto, convertiti.

Eh sì, sul Calvario ci sono solo due classi di per­sone: ci sono i fedeli e i carnefici. Ci si va solo per due ragioni: o per amarlo, compatirlo e dividere le sue sofferenze, o per ucciderlo. Noi siamo qui certa­mente tra i primi. Alla Santa Messa, nella Santa Messa, rapidamente pensando alla giornata che ci aspetta, alle attività che dobbiamo svolgere, ai sacrifici da compiere, alle difficoltà da superare, mettiamole tutte qui, uniamole al sacrificio di Cri­sto, immoliamoci insieme a Lui.

Ecco, questa sì che è la Messa: partecipate, sen­tite, assimilate. Così si ha il frutto del sacrificio. Muovetevi una buona volta, svegliatevi, accende­tevi, scuotetevi. Perché tra tanta abbondanza voi siete le pietre che rimangono aride, impermeabili, e se tirate fuori anche dal profumo dove erano immerse hanno solamente il profumo all'esterno; dovete invece essere come le spugne che prendono, che lavano, che si arricchiscono e che hanno den­tro di sé, come i recipienti completamente liberi, la pienezza dal balsamo nel quale si sono immerse.

"Andate via da questa mensa", dice S. Giovanni Crisostomo. Come dei leoni terribili così dite al demonio! Ecco, è così solamente, guardate bene, che voi partecipate alla Santa Messa; se lo ritenete veramente il Signore, per ricevere il Signore, per riceverlo in grande proporzione, profondamente, bisogna crederlo e bisogna desiderarlo.

E quando siamo pieni di Lui e Lui è in noi, allora anche noi possiamo dire le sue parole, adesso il demonio è cacciato fuori perché con me non ha niente a che vedere, il demonio non mi fa paura. C'è Cristo, e davanti a Cristo il demonio trema, in tutte le sue manifestazioni, nelle prove che vi aspettano, nelle tentazioni che il demonio vi presenta, nelle difficoltà della giornata. Voi siete sicuri, almeno sicuri per la giornata, e poi domani? Ma domani c'è un'altra dose, c'è un'altra razione, forse più abbon­dante, senza meno. Perché l'abisso di umiltà, di devozione, le disposizioni di un'anima invitano Dio, attirano sempre maggiore pioggia di grazia e di benedizione.

È così che dobbiamo avvicinarci alla santissima Eucarestia essendo già dentro nella Santa Messa, nell'Eucarestia, nel sacrificio; e questo sacrificio è stato chiamato Eucarestia, soprattutto perché è il sacrificio dei ringraziamenti e della lode.

Dopo le battaglie gli Ebrei avevano ordine dal Signore di offrire dei sacrifici. Dopo la costruzione del tempio di Gerusalemme, Salomone - dice la Scrittura - fece offrire innumerevoli sacrifici sì da sbigottire il mondo intero. E il Signore si compiac­que tanto in quei sacrifici perché erano simbolo del grande sacrificio, quello che noi celebriamo, che noi viviamo.

E la Santa Messa, la Santa Comunione, la parte­cipazione a questo sacrificio, ci devono lasciare nelle stesse disposizioni - almeno per una giornata - nelle quali si sono trovati gli apostoli.

S. Giovanni, la Madonna, la Maddalena, sono riusciti, dopo avere assistito al sacrificio, a dimenti­care un istante, a staccarsi un minuto. Tutti compìti e compresi, convinti e spaventati dell'enormità dell'abisso della carità di Cristo, per loro.

Ecco, il rac­coglimento della giornata è ben assicurato, voi lo vedete, non c'è pericolo. Adesso siete forti, adesso state al sicuro, è così che arrivate vicino alla perfe­zione, è così che fate presto a purificarvi; così ci si santifica! "Cum santo, santus erit", ha detto la Scrit­tura. Stando con il Santo dei Santi, con Gesù, che è santità per essenza.

Così dovete ascoltare la Santa Messa, così dovete sentire in voi le intenzioni, le preghiere, i sacrifici, le offerte, e riviverle, quelle stesse di Gesù, che le vive continuamente per noi, e qui, nella Santa Messa, accumulate tutte le inten­zioni per tutte le attività, per tutte le persone care, per tutti gli impegni, tutte le responsabilità che voi avete, mettetele qui e mentre ve ne andate, lascia­tele qui, consegnatele al Signore, affidate a Lui la soluzione dei vostri problemi, delle vostre diffi­coltà.

Così sarete anime di Dio, così sarete degni di Cristo, così avrete veramente la fede di Dio, questa fede che voi qui sentite, di cui sentite il frutto, che voi vivete, e per la quale insieme a Gesù, in Gesù, con Gesù, vi immolate per il bene del mondo.

Dopo la Santa Messa e durante il giorno, spesso, dopo i vostri sacrifici, come esercizio, io vi dico di ricordarvi le parole che disgraziatamente spesso si dicono troppo in fretta: "Placet tibi Sancte Trinite!". Prima di baciar l'altare, di benedirvi, il sacerdote dice questa bella preghiera. Sapete che preghiera è? Guardate, inquadratela bene.

Questa preghiera consacra tutto, è l'ultima offerta, l'ultimo ricordo, ma forse il più prezioso.

Dopo i suoi sacrifici Gesù al Padre, dopo ogni preghiera, dopo ogni umiliazione, dopo la flagellazione dopo l'agonia, dopo la sua morte, dopo il sepolcro, dopo la resurrezione, Gesù non fece, in altri termini, che ripetere conti­nuamente queste preghiere: "Ti piaccia il sacrificio che ti ho offerto, per la salvezza dell'anima, per la tua gloria, per santificare queste anime".

Ripetetela spesso quella preghiera, è quella che la Madonna stessa ha ripetuto sempre e specialmente prima di offrire l'olocausto della sua vita, prima di offrire Gesù, Lei stessa al Padre, ai piedi della Croce.

"Ti piaccia o Trinità adorabile, questo sacrificio che tutti i santi, tutti i martiri, hanno ripetuto, che tutti i moribondi nell'offrire la loro vita hanno ripetuto, con Cristo, in Cristo e per Gesù Cristo stesso".

"Ti piaccia, o Trinità adorabile, questo mio sacrifi­cio. Rinunzio a tutto, ti lascio tutto, ti offro tutto, per la tua gloria, per la mia santificazione, per la sal­vezza del mondo".

* * *

LA PERSEVERANZA

Padre Gabriele era confortato dalla consapevolezza che al di là di come le cose sarebbero andate, la chiamata rivoltagli dal Signore per l'esercizio di un aposto­lato vivo ed attuale, non avrebbe comunque subito ripercussioni, né dal punto di vista delle sue con­vinzioni personali, né per quanto relativo alla sua fede ed alla sua perseveranza.
Anzi, quest'ultima la considerava un dono di Dio, come spiegò bene negli anni della sua maturità:

Quanto è prezioso il dono della perseveranza! Perché ci sono le pompe di benzina per la strada? Per arrivare a casa. Perché ci sono i posti di ristoro, di riparazione, di rifornimento anche spirituale, anche umano? Per arrivare a casa. Perché Elia in mezzo alla strada, in mezzo a metà del suo cam­mino, si buttò per terra, sotto l'albero e disse: "Ora basta, adesso sono stanco, non ho più voglia di andare avanti". Sapeva che era nel deserto, sapeva che qui non c'era acqua, che non c'era pane, sen­tiva la sua stanchezza e fermarsi equivaleva a morire. E allora prese tutta la responsabilità di que­sto proposito, o sproposito, e disse: "Va bene, adesso mi getto qui sotto quest'albero e mi metto a dormire, e aspetto la notte".
Ma non è così che poteva arrivare lassù sul monte, sull'alto monte. Adesso veniva la difficoltà.
L'angelo di Dio s'avvicina, l'Angelo della Perseve­ranza si avvicina, gli dà il pane, gli dà l'acqua da bere, la forza per rialzarsi, l'energia per continuare e arrivare. E dopo aver viaggiato quaranta giorni e quaranta notti arrivò sul monte. Questo "quaranta" significa nella scrittura: “La vita nostra quaggiù”.
“Per quarant'anni sono stato da voi”, disse il Signore al popolo suo. Cioè tutta la vita, la nostra vita! La nostra vita è tutta una difficoltà. Voi avete cominciato e avete cominciato bene. E S. Paolo, guardandovi, vi direbbe come ai suoi fedeli: “Avete cominciato con slancio, correvate così bene, adesso chi è che v'ha fermato, perché avete rallen­tato? Siete arrivati? Avete voglia a camminare ancora! E chi vi può dare la forza? Il Signore! Col dono della Santa Perseveranza.
Quando c'è una competizione e ci sono le corse a piedi o in bicicletta, vedete, quanti sono a partire. È vero che molti sono i chiamati alla corsa, pochi sono i premiati all'arrivo. Perché? Questo è sempre per un difetto: mancanza di perseveranza. Però intesa in questo senso, e cioè che molti di questi cadono per sbadataggine, vengono meno per impre­parazione. E per noi, nella vita spirituale, questo succede per mancanza di vita spirituale, di ali­mento spirituale, di preghiera, di spirito di fede, di buona volontà, di generosità.
Il Signore l'ha detto chiaro e netto: "Chi vuoi venire dietro di me, venga pure, prenda però la sua croce!".
Eh, una parola! Pesa! Rinneghi sé stesso! Eh, ancor più difficile. Mi segua! Ma è impossibile, uma­namente parlando, impossibile, col passo che ha Lui, con le difficoltà attraverso le quali ci trasporta Lui, e prendere la via erta, la salita vertiginosa, impossibile! Ebbene, voltandosi ci ha detto: "Guar­date bene, v'avverto prima, il regno di Dio sta in alto, sta molto in alto", per arrivarci richiede vio­lenza, forza, volontà, generosità.
Solo i violenti ci arrivano, i fiacchi, i deboli, i vagabondi, le anime comode non arrivano mica lassù. Oh, in Paradiso non ci si va in carrozza, no! A piedi, con difficoltà, con sacrificio.
E allora, cosa si vuole, dato che queste sono le difficoltà, e che non si possono nascondere?
Allora bisognerà armarci di perseveranza, di forze, di ener­gie, di generosità, di volontà.
Non tutti quelli che son partiti nella corsa saranno premiati – dice bene S. Paolo –, ma quelli che arriveranno. E nel correre c'è un codice da osservare, ci sono delle norme da seguire per avere il premio. Non basta arrivare comunque, bisogna arrivare regolarmente, camminando per la via che il Signore ha tracciato.
Ecco, vedete, adesso so che voi già avete pensato ai più grandi di noi, che hanno cominciato come noi e che hanno inteso le difficoltà più di noi. Vi ricordate tra questi, per esempio, il Santo Curato d'Ars? Fu raggiunto per ben tre volte, per tre volte s'era dato fuggitivo, aveva abbandonato la parroc­chia, era scappato tra i boschi, attraverso i campi, col suo fagottino sulle spalle se n'era andato.
Perché? Raggiunto diceva: "Per favore, lasciatemi stare, lasciatemi andare via, non ne posso più. Io non posso continuare quella vita lì, ho bisogno di solitudine, devo pensare un po' all'anima mia, e poi sento troppo il peso, non gliela faccio".
Bene o male, volere o no, lo presero, e un po' con le buone, un po' con le cattive, lo riportarono in parrocchia. E lì sospirando, cominciò – continuò anzi – le sue fatiche. E spesso, confidenzialmente, a quelli che gli stavano continuamente vicino, diceva: "E' vero! Se avessi saputo da principio quando sono arrivato, le difficoltà, i sacrifici che m'aspettavano, la vita – diceva lui stesso – la vita da cane che devo fare...!". Era proprio veramente l'espressione che si poteva usare, parlando.
Maltrattato dalla gente, flagellato da sé stesso, molestato dal demonio, senza mangiare, senza dor­mire, e così oggi, così domani, ce n'era da stancare un gigante. Vedete, anche i santi, e santi come que­sti, vedete come l'hanno inteso il peso della croce, delle difficoltà, come hanno inteso le difficoltà della strada. Non vi spaventate dunque. Voi vi sentite venir meno? E' umano.
Il Signore, vi ha già avvertito: richiede violenza, ci vuole un po' di coraggio, però: "Quando siete affati­cati e stanchi venite a me” – ecco i posti di ristoro per poter arrivare – “venite a me e io vi ristorerò!".
Perché il Signore ci ha dato la preghiera? Se voi cedete lungo la strada, voi confermate di non aver fatto rifornimento o, almeno, non abbastanza, per­ché, guardate bene, avete voglia a esagerare le diffi­coltà di questa vita ardua che abbiamo preso, di questo programma duro, le difficoltà sono quelle! Però in proporzione, è stato anche studiato un piano più abbondante, un piano che ci assicura non solo la vita di ogni giorno, ma la possibilità di dare, di sacrificarsi, ogni giorno, fino alla fine. Se voi avete appetito, per esempio, mangiate bene – parlo sempre dello spirito – . Se voi fate la Santa Comunione e ci andate con fame, con sete, voi ritornerete pieni. Ma quando una buona macchina ha fatto un buon rifornimento di vera strada, che volete che sia, e il vento e la pioggia e la neve? Le intemperie, le diffi­coltà, non la potranno fermare fino al prossimo rifornimento. In fondo a noi si chiede così poco: piccole tappe, grandi rifornimenti ad ogni tappa!
Ecco che cosa assicura la perseveranza nella vita di Dio. Le anime stanche, le anime deboli, le anime avare, sono quelle che sono avare anche con sé stesse, che non pensano a far rifornimento.
Si dice che un giorno, figuratamente, in un piano figurato, il Signore chiamò parecchie persone che erano giù nella valle vicino al fiume Giordano e disse a ciascuna: "Andiamo lassù sul monte, pren­dete un sasso, ognuno prenda una pietra, secondo la sua forza e la porti lassù". Pensavano:
"Vorrà fare un altare, vorrà costruire qualche cosa". E ognuno prese la sua, secondo le proprie generosità, ce n'era da scegliere, ce n'erano grandi e piccole, i più generosi ne presero una grande. Le sentivano bene, salendo, le conseguenze. Qualcuno più furbo, ne prese una piccola, se la mise in tasca, e qual­cuno domandò: "E tu?". "Eh, ce l'ho qui!". Arrivati su, il Signore disse:
"Mettete via queste pietre!". E tutti si guardarono. Disse poi: "Adesso si comincerà a costruire, a lavorare!". "Quando si mangia? Abbiamo fame, siamo stanchi". "Mettete qua queste pietre!". Si dice che il Signore le trasformò in pane. Quello che aveva preso la pietra piccola rimase digiuno. S'accorse allora dello sbaglio fatto, e tutti lo guardarono: "Tu?". Non rispose. E così, vedete, questo modo di pensare, di agire, che sembra una storiella, avviene praticamente continuamente.
Ecco, come vi ho detto prima: le anime pigre che non pregano poi ne risentono, le anime avare che non si danno dopo ne risentono le conseguenze, cadono giù.
Quanti grandi santi ci potrebbero essere con un pochettino più di buona volontà, di generosità, per garantirsi la perseveranza nelle vie di Dio e la sicu­rezza di arrivare. Non tutti quelli che sono stati chia­mati sulla via di Dio, sono gli eletti, questa è la verità, sapete. Delle vergini, cinque sono state scelte, cinque buttate fuori; è una media un po' forte, come scarto. Dei servi che hanno trafficato, alcuni sono stati premiati, altri puniti. Del grano gettato nel campo, grano buono, sapete, buona semente, semente scelta, che saremmo noi, voi sapete bene che solamente una minima parte portò frutto, l'altra andò perduta. La nostra perdizione o la nostra salvezza in definitiva dipendono da noi, dal nostro contributo, dalla nostra corrispondenza; le grazie dalla nostra perseveranza nel bene.
Finché si vive ci si può perdere, è per questo che la Scrittura raccomanda: "Non lodare nessuno prima della morte, perché può essere un improbo". Qualcuno s'è perduto, s'è abbandonato già anziano, già cadente. Mistero di Dio impenetrabile, nel quale noi non possiamo permetterci di entrare e sindacarne i giudizi.
Va bene, però sono possibilità, sono cose avve­nute, cose che possono avvenire e se Dio non ci tiene la mano sul capo… diceva bene S. Filippo Neri: "Già anziano io diventerò un demonio!".
E' vero e la Scrittura, voi lo sapete bene, ce lo ricorda sempre: "Solo alla misericordia di Dio lo dobbiamo se ci reggiamo ancora in piedi". E in altro luogo, ricordate quelle parole ancor più severe: "Se Iddio non ci avesse conservato, preservato, noi avremmo avuto la stessa sorte di Sodoma e Gomorra ".
Quanto è necessaria la perseveranza nel bene! Voi dovrete rendere conto, un giorno, di tutte le grazie, e questa è una delle particolarissime grazie speciali: la chiamata di Dio, l'invito di Dio, e il Signore ve lo ricorda continuamente, la Chiesa ve lo ripete. Oggi che avete ascoltato la voce del Signore non indurite il vostro cuore. Il rimprovero più grande che Gesù ha fatto al suo popolo, e prima ancora per mezzo dei profeti, è di non voler ascol­tare e quindi di non voler rispondere e quindi di non voler venire e quindi di non volere la vita, la vita eterna, la perseveranza nel bene, nel proposito, nelle risoluzioni, la perseveranza nei sacrifici che ci sono richiesti ogni giorno, voi che pure avete già fatto tanti sacrifici, avete già dato tanto, sacrificato tanto.
Se in qualche giorno ne sentite il peso, se insieme agli anni adesso vi pesa di più la croce che Dio vi ha dato, ebbene, il dovere vostro non è di fermarvi e domandarvi: “Vado avanti o indietro?”. No! In tutte le viae crucis ci sono delle stazioni, delle fermate. E come d'obbligo, ad ogni stazione, umilia­tevi, inginocchiatevi, mettetevi ai piedi del Signore, nelle sue sofferenze, in quelle stesse che voi forse soffrite, in quelle stesse delle quali si dice che è caduto per troppa stanchezza, per il troppo peso; è venuto meno per non poterne più. Ecco, lì prendete la forza.
Quella stanchezza che voi sentite, l'ha già sentita Lui per voi; in quel momento vi ha già solle­vato Lui, cadendo vi ha dato una spinta in alto ed è caduto al posto vostro per risparmiarvi di cadere, e se anche proprio vi venisse fatto di cadere, guardate che non toccate terra. C'è Lui sotto!
Dice la Scrittura, ha questa espressione meravi­gliosa, di una delicatezza degna di Dio: "Con una spinta che ho ricevuto d'improvviso sono stato lì per cadere, ma il Signore ha messo sotto la sua mano e mi ha rialzato su". Sono nei salmi questi versi, que­ste espressioni. Ogni volta che si legge, pare di vedere la tenerezza di Dio, la bontà paterna di Dio, che veglia il suo bambino e impedisce che gli si faccia male, che si faccia male, che cada.
Non è mica poi difficile la perseveranza in queste condizioni qui. Se noi teniamo conto del piano di Dio, della bontà di Dio, delle misericordie di Dio, della generosità di Dio, la nostra vita, benché diffi­cile, benché faticosa, è più piena di aiuti che di inciampi, che di intoppi. E qui S. Paolo salta su e proclamando solennemente, dopo aver detto, aver parlato di tutta la serie di sofferenze, naufragi, batti­ture, calunnie, condanne, minacce di morte, di tutto quello che si poteva soffrire sulla terra, poi in fondo aggiunge: "Però la mano del Signore sempre vicina, la bontà di Dio che ci confonde continua­mente, ci previene ad ogni istante, la sua misericor­dia infinita mi hanno sempre consolato, mi hanno sempre riempito, tanto che io, lo devo proprio dire, mi sento sempre pieno di gioia, in mezzo alle mie tribolazioni". E guardate bene che S. Paolo non si vergogna di dire che in quei momenti di prova, lui stesso ha desiderato la morte, ha detto ai suoi fedeli: "Io me ne sento umiliato, ma devo proprio dirvelo, mi son trovato così male, così solo, così abbando­nato, che ho proprio desiderato di morire. Ho detto: Signore, toglimi dal mondo, non ne posso più. E poi, non voglio più vivere, basta, non gliela faccio più". Appena rilevato dalla mano di Dio e ripreso il cam­mino, con la perseverante velocità che ha avuto sempre, questo gigante grida più di prima, e dietro lui i Santi, dietro lui i Martiri, tanto che i Santi, nonostante il peso delle sofferenze, delle croci, delle umiliazioni, delle penitenze, di tutto quel po' di tri­bolazioni di cui il Signore ci ha caricati, trovano ancora posto, trovavano modo di gridare: "Signore, soffrire, non morire più, ancora Signore, più ancora, c'è ancora forza, c'è ancora posto!".
Ecco, vedete, la perseveranza trionfante, la forza, il coraggio; ma voi vedete bene, non è una bravura nostra, è un dono di Dio. Dono di Dio che si appog­gia su tutte le misericordie di Dio, messe a nostra disposizione per fare una redenzione abbondante. Perseverate, prendete i vostri propositi, teneteveli davanti.
E avanti, avanti! Non abbiate paura, né delle ten­tazioni, né dei pericoli, né delle minacce, né delle malattie, né della morte. Dio, è più forte, e l'amore trionfa di tutto questo, basta che voi abbiate la Santa Perseveranza nel bene. La Chiesa ha più preghiere che, durante l'anno, ci mette sulle labbra, per chie­dere a Dio, per noi tutti, il dono della perseveranza: "Signore, conserva quelle anime che tu hai chia­mato al tuo servizio, e per amore, per quell'amore che ti ha spinto a chiamarle, dà loro la grazia di poterti vedere, di arrivare fino a te, di perseverare nel tuo servizio".
È questo che dobbiamo chiedere noi, noi che siamo in mezzo al cammino di questa via del Signore, che ne abbiamo già percorso tanto, che stiamo camminando ogni giorno, che sentiamo il peso delle difficoltà e che forse dovremo incon­trarne di più serie, di più grandi, di più dure, di più dolorose.
Questo sta al Signore pensarci, perché dà, quando manda la tentazione, la forza di superarla; quando manda il male, il bene per condirlo e quando dà la croce, la sostiene Lui stesso.
Il mio peso è soave, perché la parte più pesante la porta Lui.
Siamo proprio simili a quei bambini che accom­pagnano il padre che porta un grande sacco, un quintale sulle spalle. Il bambino lo segue, con una mano regge una parte del sacco, come se desse una mano a portare quel peso. Così istintivamente l'amore filiale o anche un po' di orgoglio già gli fa sentire di essere utile anche lui.
Così facciamo noi molte volte: alla croce che Dio ci dà non diamo importanza; è Lui che la porta, non noi; il peso che ci ha messo sulle spalle è Lui che lo sostiene. I nostri dolori, le nostre pene, è Lui l'uomo dei dolori, è Lui che li ha portati e ha levato da essi tutto l'amaro.
A noi rimane solamente, adesso, di partecipare al merito.
Coraggio dunque! Avanti! Siate perseveranti, fatevi santi, perché non c'è altro fine, altra giustifi­cazione della nostra presenza qui nella casa di Dio; bisogna arrivare, bisogna riformarci, bisogna che ci convertiamo, che ci trasformiamo, che ci santifi­chiamo.
Siate santi, perché Chi vi ha chiamato è santo, ed è per questo che siete stati chiamati.
Avendo risposto, avendo cominciato, essendo sulla strada, andate fino in fondo, con l'aiuto di Dio, con la sua volontà, con il dono della Santa Perseveranza.

 

 

* * *

LA FEDE

Padre Gabriele non seppe moderare i suoi entusiasmi, sicuro che poiché essi dovevano recare benessere al prossimo non sarebbero mai stati sopraffatti da ostacoli di natura umana.

Questa fede straripava dal suo cuore tanto era grande e ne fece insegnamento per tutti coloro che ambiscono a vivere nel regno dei cieli.

 

Nella fede e nella soavità del suo animo trovò la materia per farlo santo! Questo è ciò che Dio dice ad Abramo: “Cammina davanti a me e sarai per­fetto!”. La perfezione ci viene dalla fede in Dio, nella fede in Dio troviamo la perfezione di noi stessi, nella fede viviamo la vita di Dio. La fede è la luce dell'anima, la fede è la forza, la fede ottiene, dà, aumenta le grazie, la fede è la sorgente di ogni bene, e anche della fede si può dire: “Tutti i beni ci sono venuti da quella”.  Nella fede troveremo Dio, la fede è la luce, Dio l’abbiamo, Dio è in noi, Dio è intorno a noi, Dio è in tutte le cose, ma per vederlo, scoprirlo, trovarlo, conoscerlo, sentirlo come è giusto, amarlo come merita, questo potere ce lo dà la fede.

Vedere Dio è la fede, vivere di fede è quindi vivere nella continua luce che ci conduce al Signore. I santi è per la fede che piacquero a Dio, e infatti, sta scritto, senza la fede è impossibile piacere al Signore ed è proprio la fede che dà tutto il merito alla nostra opera e dà anche la gloria al Signore, perché l’atto di fede è un atto di umiltà; dobbiamo umiliarci per credere, Dio la fede la dà agli uomini, Dio resiste ai superbi, il superbo non ha fede perché per credere bisogna essere umili.

Aver fede vuol dire essere umili, riconoscere il nostro nulla, riconoscere le nostre insufficienze, e nella nostra insufficienza, nel nostro vivere, nel nostro operare, poiché viviamo, poiché operiamo, noi vediamo Dio, noi riconosciamo le manifesta­zioni di Dio in noi, nelle nostre azioni, nelle nostre opere. Dio è la Luce che cammina davanti a noi, in Lui e con Lui non si cammina nelle tenebre, si ha la vera luce: la luce della vita!

Aver fede vuol dire avere la vita, siamo figli della luce perché abbiamo avuto la fede, che Dio ha dato a noi, per Gesù Cristo nostro Signore, con la virtù dello Spirito Santo, che è diffuso nelle anime nostre.

Bisogna avere la fede! Senza di questa non pos­siamo vivere, né operare, né meritare nulla.

Bisogna vivere di fede! Senza di questa non viviamo di Dio.

Bisogna operare nella fede! Perché è dalla fede che le nostre opere, le nostre azioni, prendono il merito. I santi ebbero fede, i santi vissero di fede, i santi operarono nella fede, con la fede, per la fede.

Il dono della fede è un dono soprannaturale che viene da Dio, però sta a noi trafficarlo, aumentarlo, farlo fruttare, e noi, se non l’abbiamo abbastanza, dobbiamo chiederlo come ha detto Gesù: “Abbiate la fede di Dio”.

E come dice l’apostolo: “Se qualcuno di voi ha poca fede, non ha che rivolgersi al Signore e chie­derla: Signore, aumenta la nostra fede! Ci hai dato il seme, ci hai dato il germe, hai seminato la fede nei nostri cuori, fa che cresca! Che cresca non soltanto fino a dare il fiore, il bel fiore di molti propositi, di molte speranze, di maturità, ma fino a dare il frutto, frutti, molti frutti, frutti di vita eterna. Per noi e per quelli che ci hai affidato, per il nostro bene, ma soprattutto per la tua gloria, per la salvezza del mondo, hai voluto salvare il mondo con la fede, ed è proprio solo con la fede che saremo salvi”.

Senza la fede non si può né piacere al Signore, né ottenere la salvezza eterna. Signore dacci la fede, aumentaci la fede. È un dovere per noi, un dovere sacrosanto, vivere di fede, operare nella fede.

Che cos’è per noi, praticamente la fede? La fede è la presenza continua di Dio. Vita di Dio. Vivere in Dio, vedere Dio in tutto, vederlo in tutto ciò che accade, in tutto ciò che avviene, riconoscere la sua presenza, constatare la sua Divina Provvidenza in noi, attorno a noi, nelle persone, nelle cose che ci circondano, equivale ad amarlo, e quindi, se l’amiamo veramente, a servirlo spontaneamente, generosamente.

Vedete come tutto viene dal germe della fede. Tutto il calore della vita divampa da questa scintilla: la fede! E’ questa che mette poi il fuoco alla carità, è questa che divampa in noi, che sostiene la speranza, che ci fa confidare in Colui che con la fede abbiamo conosciuto così buono, così grande, così misericordioso, così generoso.

Quanto ci ama il Signore? Ce lo dice la fede. Quanto ci ha amato il Signore? Ce l’ha detto la fede. Quanto ci amerà il Signore? Lo sappiamo dalla fede. Come ci farà felici in Cielo il Signore? È una verità di fede che ci consola tanto, e San Francesco, vedendo in questo splendore di fede, in questa luce chiara, benedetta, vedendo il premio, la gloria che Dio gli stava preparando, fuori di sé gridava: “Oh, le pene di quaggiù, i dolori, le sofferenze, il dovere che devo compiere, le responsabilità, non sono nulla di fronte al premio, alla gioia, alla gloria che il Padre ci prepara come ricompensa”. E S. Paolo, sempre nella fede vedeva grande, immenso, smisurato il peso della gloria corrispondente ad ogni piccolo atto coraggioso di sacrificio da parte nostra, atto di fede, professione di fede. Chi soffre pazientemente ha fede, chi soffre per amore di Dio ha fede, chi serve il Signore fedelmente, certamente ha la fede, vive di fede, perché è giusto, ed “il mio Giusto” ha detto lo Spirito Santo, “vive di fede”.

La fede dà la forza, dà la perfezione a tutte le nostre azioni, è nella fede, è per la fede che noi possiamo superare i sacrifici che ci impone l’obbedienza, le  privazioni che ci impone il voto di povertà, il castigo, la mortificazione, la lotta dura che ci impone il voto di castità. E per la fede sol­tanto che noi possiamo superare le lotte che il demonio ci presenta ogni giorno, possiamo respin­gere i suoi inviti e i suoi affanni, e li respingeremo tanto più e tanto meglio quanto più grande sarà la nostra fede. Non temete, è nella fede che Cristo grida a voi; guardatelo, vedetelo, è vero, l’ha dimo­strato, è forte, è invincibile, ha vinto il mondo, ha vinto la sofferenza, ha vinto la morte, ha vinto il demonio, ha vinto tutte le sue tentazioni, ha respinto tutti i suoi inviti. Lui a nome nostro. E noi in Lui, con la fede, partecipiamo della sua vitto­ria.

Abbiamo in noi parte della sua forza, del suo vigore, è da Lui che ci viene la forza nella fede, con la fede. La fede ci è necessaria per compiere i doveri delle giornate, per soddisfare gli impegni che abbiamo preso davanti a Dio, per corrispondere alla vocazione che il Signore ci ha dato. Dio ci ha chiamati, averlo ascoltato è stato in noi un atto di fede, averlo seguito coraggio di fede.

Adesso dobbiamo seguirlo, continuare a servirlo, amarlo, conoscerlo, perseverando nella fede, dob­biamo vivere di fede anche praticamente nella nostra vita, nelle azioni, nei piccoli incontri, nelle circostanze minute della giornata. Andando, voi vedete una persona, la fede vi mostra invece l’im­magine di Cristo; le regole, in qualche parte hanno suggerito ed anche imposto di fare una riverenza, non a quella persona figlia della tale madre e del tale padre, ma a quella persona immagine vivente, palpitante di Cristo, quella persona tempio dello Spirito Santo. I buoni cristiani, passando davanti alla chiesa si segnano col segno della Santa Croce, o fanno l’inchino, o rivolgono un pensiero al Signore. Quando incontriamo un tempio vivente, non fatto di pietra, ma vibrante della virtù dello Spirito Santo, caldo della carità di Cristo, splendido dello splendore della grazia, ma noi davanti a que­sto tempio, dobbiamo inchinarci, non è una regola che ce lo impone, è la fede che lo richiede.

Se abbiamo fede, dobbiamo inchinarci, dobbiamo vedere Dio, c’è veramente, non è supposizione, non è una pia esagerazione, e se non vogliamo farlo col capo esternamente, dobbiamo farlo con l’anima. Invocare il Signore, salutare il Signore quando passa, perché è Lui; quando vedete le persone che il Signore ha scelto per dirigervi, per guidarvi e sulle quali pesa la responsabilità, una grande parte almeno delle vostre salvezze, ebbene, quelle sono per dire, come le grandi cattedrali, sono come i grandi reliquiari, nei quali il Signore è più presente; nel tempio, entrando, si salutano molte statue, molti santi, molti altari, poi arrivate là dov’è, un giorno si diceva, il Sancta Sanctorum. Oggi si chiama Cristo Presente, il tabernacolo, l’altare maggiore. I supe­riori sono per noi altari, a nostra volta, nella Chiesa, nel tempio misterioso dello Spirito Santo, sono come l’altare maggiore al quale dobbiamo essere tutti rivolti, verso il quale dobbiamo essere tutti devoti, nel quale dobbiamo riconoscere la pre­senza di Dio, di Gesù, Gesù che parla, Gesù che insegna, Gesù che ci sente, Gesù che ci ama, Gesù che ci provvede, Gesù vivente; ma vivente vera­mente tanto, è sempre la fede che lo insegna, tanto che in loro Cristo grida continuamente: “Chi ascolta loro, ascolta me, chi disprezza loro, disprezza me”.

Non crediate voi di rivelare impunemente i difetti che voi notate in una persona rivestita d'autorità. No! È Cristo. E come se voi osaste toccare il ciborio, che contiene Gesù vivente, non lo potete, non avete l’ordine di poterlo fare. E se voi lo fate, voi commet­terete un’irriverenza gravissima. Come non potete toccare questi oggetti che contengono Cristo, ancor meno dovete mancare di rispetto a persone nelle quali Cristo vive, con le quali Cristo governa, delle quali Cristo parla e nelle quali Cristo vi ama, veglia su di voi, e per mezzo delle quali Cristo ancora di nuovo soffre, si preoccupa, passa delle notti insonni, tante quante ne passano i superiori, che pensano al vostro bene, che trepidano per la vostra salvezza, che soffrono per la vostra perfezione e miglioramento, che hanno sete di vedervi più santi; proprio come Cristo, sono venuti ad accendere il fuoco nelle strade e soffrono tanto finché non lo vedono divampare. Ecco, questo è lo stato, è l’atti­tudine di Cristo sui superiori, è la fede che lo dice.

La fede ci dà non solo la luce per riconoscerlo, ma anche la forza per sopportare.

Quante volte, aggrediti da un’osservazione che vi trova impreparati, voi vi sentite ribollire. State attenti e sopratutto state zitti. Non reagite, aprite gli occhi della fede. Badate alla volontà, alla disposi­zione di Colui che veramente è presente, vi prova, vi provoca, vi provoca ad amarlo di più. Umiliandovi, sacrificandovi, ascoltando, tacendo, vi offre l’occa­sione di un sacrificio, vi offre un’occasione di eser­citare la virtù della carità, la virtù della fede, la pazienza e la generosità nel sopportare i difetti, la miseria, le mancanze, le debolezze del vostro pros­simo nel quale c’è Cristo.

Sopportatele pazientemente, anche se sono per­sone moleste, il Signore, però l’ha chiesto, la Chiesa ve lo raccomanda, ed è questo alla base della vita cristiana, questo è comandato anche ai semplici cristiani. E finché dura questo amore, non vi stan­cate di ripetere: “Signore è per te, grazie Signore, Signore dammi la fede, Signore aumenta la mia fede, Signore, che io veda. No, non è lui o lei, sei tu, sei tu Signore, ti riconosco”.

Anche quando qualcuno vi fa del male, qualcuno riportando le cose non vere, o indiscretamente vi ferisce profondamente, non vi lamentate, non vi ribellate, non vi scusate, non ricorrete, non chiedete giustizia, non dovete esigere la verità; la verità già la sapete: è Cristo che vi ha afflitto, che vi ha voluto provare. Dal momento che vi ha provato dunque siete suoi.

Dunque vi vuol bene: ecco la verità che vi deve subito consolare! E se qualcuno ha gettato così il fascio della maldicenza, della mormorazione, della critica, contro di voi e vi ha ferito, come David, anche voi, fate tacere tutte le voci che sorgono dal fondo dell'anima vostra e gridate alto: “Dominus est!”. È il Signore che ha armato la sua mano, è il Signore che ha messo la sua lingua, è il Signore che ha disposto così per provarmi, per mettere a prova la mia povera fede; per farmi espiare i peccati e per avere così il modo di ammettere il mio merito.

“Signore – dobbiamo dire solamente – dammi la fede, aumentami la fede”. Oh nella fede i Santi anche se colpiti, anche se sacrificati, non hanno trovato altro da dire: “Signore, perdonali, non sanno quello che fanno, loro non hanno colpa, non se ne accor­gono neppure”. Bisogna aver fede, anche nei momenti più tristi, nelle desolazioni interne, nelle aridità, nelle difficoltà di spirito, sì, bisogna avere fede; ecco è chiaro, la fede è luce, e la fede serve soprattutto quando comincia a far buio, quando comincia a far notte. Allora serve particolarmente la fede.

Quando s’avvicina la prova, quando si oscura il sole nell’anima – ma non scompare, siatene certi – quando le nubi coprono il sole non lo distruggono, il sole non scompare, non perde il suo calore, la sua luce: è solamente nascosto! E così nel fondo del­l’anima, così per voi, quando scompare la sensibi­lità, la visibilità della luce di Dio, dell’anima, e restate al buio, voi fate un atto di fede, ripetete gli atti di fede, chiedete la fede, appoggiatevi alla fede, accendete tutte le lampadine della vostra fede. E se manca la corrente, se il Signore permette che que­ste lampade non vi rischiarino, bè, andate avanti, abbandonatevi per mezzo della fede, con la certezza della fede, alla sua divina Presenza che c’è, che è reale, che è lì, più che mai, che non si vede, non si sente, che voi non toccate e che però è lì, operante nell’anima vostra.

Ha spento la luce come farebbero una mamma e un padre per i loro figli paurosi per vedere se gri­dano, se hanno paura, per vedere se piangono, per vedere se indovinano la porta, per vedere se conti­nuano a vivere nella serenità e quando, riaccen­dendo la luce, li trovano sereni, li vedono fiduciosi, li vedono sorridenti, oh con quale effusione li abbracciano, si rallegrano con loro e si consolano di avere dei figli forti, dei figli coraggiosi!

Così il Signore con le anime che sanno aspettare, che sanno vedere comunque anche senza la luce sensibile, visibile della fede. Non vogliate temere, abbiate la fede, come gli apostoli. Gesù a voi ripete in quei momenti, a voi che piangete, a voi che per­dete di coraggio, a voi che vi credete abbandonati, Lui sempre lì presente, vi ripete come agli apostoli: “Oh, anime di poca fede, perché avete dubitato? Perché ripiegate così?”. Come a quella grande santa sua confidente, Caterina da Siena, Gesù anche a voi ripete: “Quando tu credevi che io t’avessi abbandonato, quando ti credevi sola, quando in mezzo alle tenebre sentivi la distanza di tutti e di Dio stesso, ricordatelo bene, io ancora ero più intimo nell’anima tua ed ero ancora più presente, presente con le sofferenze, con la croce, con la prova, con il buio, con le tenebre, con l’aridità; abbi fede che è nella fede che devi portare la tua croce, devi subire e sopportare la prova, il mio mandato, che è per la tua sola santificazione, purificazione e per la mia gloria. So quel che è necessario per te!”. Come si rinnova la fede? Con atti di fede. Rinnovarla significa levarsi il sapore, la crosta di materialità, la buccia che si forma sopra con il senso umano, sia pur chiamato buon senso; ma nel senso soprannaturale. Le cose che usate spesso, gli oggetti, per esempio, compresi anche i vestiti, che toccate spesso, vi esponete ad annerirli ad ungerli, a coprirli di qualche cosa che insomma deve essere tolta ogni tanto e ogni tanto ci vuole una pulizia straordinaria.

La nostra povera fede, che è quaggiù all’uso comune, tutti i giorni, tutti i minuti, in tutte le circo­stanze e sulle quali purtroppo, piove dappertutto la materialità, dappertutto e da tutti piove l’umanità, ha bisogno di essere continuamente rinnovata, rimessa a nuovo. Ci vuole una manutenzione accu­rata, scrupolosa, per questa fede, se volete che brilli! E poi non basta, ogni tanto bisogna darle una mano di brillante, di lucido, o d'oro, quello che si ottiene con le trasfusioni di grazie che vengono di lassù.

Quindi ogni tanto, siccome noi l’oro non l’ab­biamo nella credenza come il sole, dobbiamo andare a comprarlo, e costa caro! Così, quest’oro spirituale bisogna andare a prenderlo lassù, presso Dio, chiederlo: “Signore, aumenta la mia fede! Signore, voglio rimetterla a nuovo, aiutami, man­dami giù il necessario”. E il Signore a raccoman­darci: “Abbiate la fede, sì, ma abbiate la fede di Dio, però”. Non che Dio abbia fede, Lui, ma la fede che è quella che piace a Dio, che viene da Dio, che è dono puro di Dio. Ecco, ecco i princìpi da tener pre­senti.

Se curiamo tanto il guscio perché contiene cosa preziosa, molto di più dobbiamo curare la preziosità della cosa che è dentro, e come nei barattoli, nelle conserve che si tengono in disparte, ogni tanto si va a vedere, come nelle botti di vino buono si assaggia se ha preso di cattivo, se si mantiene bene e qualche volta per rafforzarlo ci si mette dentro qualche dose per assicurarsi che non vada a male, che non prenda di cattivo, perché non farlo anche con la nostra fede? È questa che serve per salvarci, questa è necessaria per santificarci, non se ne può fare a meno, per piacere a Dio ci vuole necessariamente la fede, senza la fede è impossibile piacere a Dio.

Il Signore ama le cose buone, ama le cose belle; sì, sopporta anche le cose brutte, le avvicina, ma solo per farle buone e per farle belle, e non perché familiarizzi col fango, col vizio, con lo sporco. No! In Lui non c’è macchia, e Lui non le vuole, non le soffre. È Fuoco divorante delle macchie, della rug­gine, della nebbia, è Luce purissima. Dove s’avvi­cina è splendore. Santifica, purifica, fa brillare.

Ecco vedete, senza poi dire che la fede si può paragonare  anche  a  una  luce  un po’ fioca.  Il Signore ha detto: “Non sono venuto per spegnerlo quel lumicino lì, ma per metterci olio, per alimen­tarlo, per aumentare la fiamma, per intensificare il fuoco”. Ecco, questo avviene con la serie degli atti di fede, delle trasfusioni di fede.

Lungo la strada, un tempo, quando c’era il somarello che trainava il carretto e si aveva la lampada a petrolio a penzoloni al carretto, era un gran brutto camminare, spesso i ladri aggredivano e il somaro andava nel fosso perché non ci si vedeva chiaro o si urtava contro un ostacolo. Poi con l’aiuto di Dio è venuta un’altra sorgente di illuminazione: la luce elettrica. E allora non più a cinque, sei o dieci chilo­metri all’ora, ma a cento chilometri all’ora in piene tenebre. Perché? Perché si è confortati, garantiti dalla luce. Nella via spirituale è lo stesso. Nel piano di Dio, nel piano ordinario, salvo i casi nei quali il Signore come premio della diligenza, costanza e perseveranza, interviene   con   una   trasfusione straordinaria, la fede si accumula: con gli atti di fede, con la preghiera, con i sacrifici, con la rinunzia, con la lettura, con la conoscenza! Un operaio, un impiegato, che ha anche la sua famiglia, come fa ad accumulare un tesoro, a far dei risparmi? Gua­dagna quel tanto, è il frutto del suo lavoro, ma ogni mese è quel tanto, a meno che non vinca a una lotteria nazionale, ma non ci si può contare su quella. Lui deve cercare di prevedere, di calcolare, di non sperperare, di intensificare il suo lavoro, di far fruttare le sue forze. E molte volte poi, quando si vede la diligenza di questi impiegati, di questi ope­rai, la loro operosità, il padrone, il datore di lavoro o   l’amministrazione, volentieri dà l’incoraggiamento di un sussidio straordinario, e questo lo fa più volentieri, e più abbondantemente il Signore. L’abbiamo visto nella vita delle anime sante, delle anime buone, delle anime generose.

Rinnovare l’atto di fede. Sappiamo che il piano è questo, adesso vediamo praticamente come si fa, in che cosa consiste. Voi prendete il Credo, l’atto di fede, la professione di fede; tutti questi atti, queste formule, in un certo modo racchiudono i capitoli principali o meglio danno l’idea di quella che deve essere la nostra esercitazione, la nostra attività nel rinnovamento degli atti di fede.

Credete in Dio! Come Creatore dell’universo. Credete! Ma credere come chi sente, come chi tocca, come chi vede la cosa che crede. Questo atto di fede, l’atto di fede di per sé stesso, la fede è un dono di Dio, questo primo atto di fede è una grazia di Dio.

Quanti oggi, pur battezzati, pur comunicati, cresi­mati, e che hanno ricevuto pure altri sacramenti, oggi arrivano a una triste conclusione: escono dalle porte dell’università, dove hanno inghiottito tutti i rospi degli errori, delle eresie, e sono avvelenati fino ai capelli. Cosa fanno? Più dentro hanno un magaz­zino di errori, di confusione; con tutte quelle mate­rie buttate dentro, hanno soffocato il fuoco, la fiammella della fede, non ci vedono più e vanno a ten­toni. “Non c’è Dio”, ha detto lo stolto! Dice lo Spirito Santo: “Ha detto in cuor suo: Dio non c’è!”.

Ecco, l’atto di fede dice: “Dio c’è, lo sento, lo credo e lo vedo dappertutto; Dio c’è, lo sento in me e lo vedo nel cielo, lo tocco con una mano sulla terra, in tutte le sue creature”. E qui poi, dopo tutta la serie, il concerto di tutte le sue manifestazioni della fede: niente è stato fatto di quello che è stato fatto, tutto è stato creato per la sua mano! Ecco, tutta la Scrittura viene in nostro aiuto, e come se mettesse dei puntelli per renderci saldi, forti, irremovibili di fronte all’assalto della tentazione, dell’impurità, ci conferma nella fede. E noi, ad ognuna di queste verità che vediamo venire luminose, cresciamo di luce, cresce la nostra fiamma, divampa in noi que­sta luce tanto da diventare veramente “luce del mondo”, come ha detto Gesù. E solo così si potrà fare del bene!

Bisogna metterla in atto, metterla in opera, biso­gna farla fruttare questa luce, diventare luminosi, è solo così che noi possiamo fare del bene sulla terra. Credere in Dio, Padre onnipotente, Creatore del­l’universo, credere nell’eternità di Dio, ripeterlo spesso, ce l’ha detto Gesù: “Padre nostro che sei nei cieli”, credere nella sua bontà inesauribile, sconfi­nata, eterna, nella sua misericordia senza fine.

Quando noi in questa verità crediamo e rinno­viamo questi atti di fede – badate bene, dico rinno­viamo, ripetiamo – perché guardate, sono dei rubi­netti, se si può dire, dei getti di acqua che scorre per la vita eterna e non si esaurisce mai, più ne attin­gete, più arricchite voi e non impoverite le sorgenti. Ripetendo questi atti voi fate come chi insiste per ottenere la superficie brillante, ottenere che il bril­lante splenda di più; più strofinate, più lo pulite, più brilla e più aumentate la forza nella sorgente di luce, più la lampada splende. Adesso splende certo: fate atti di fede, aumentate, centouno, centodieci, centocinquanta, duecento. Ecco, la vostra luminosità aumenta con questi atti di fede, e l’atto di fede, uno degli atti di fede che noi dovremmo fare con la grazia del Signore, approfondire, è l’atto di fede nella parola di Dio che ci ha detto e assicurato per mezzo dello Spirito Santo, che il Verbo uscito dalle labbra adorabili del Padre, adorabile verbo a sua volta, non è che la parola, la parola che è scesa sulla terra.

E badate, questa parola, tutta la parola di Dio che è Dio, tutta la verità di Dio che è Dio, tutta la verità di Dio è luce.

Voi mangiate la luce! Leggete il Vangelo e leggen­dolo passa nell’anima vostra la parola di Dio, entra in voi luce, aumenta in voi la luminosità, questa parola è luce, è verità, è grazia, aumenta la fede, vi fortifica.

Quante volte delle anime anche grandi, esaurite in un momento di prova troppo forte, hanno biso­gno di una trasfusione; sono andate da un padre, sono andate da un rappresentante di Dio che si può definire come un rifornimento, una stazione di rifornimento, sono andati là a rifornirsi: “Mi trovo così...”. Lui ha detto, ha parlato, ripetuto la parola di Dio, calda, vibrante, luminosa, e loro a bere a sorsate, a irrobustirsi, a fortificarsi, si sono alzati dei campioni, si sono levati su dei giganti, sono ripartiti luminosi.

Che c’entra, noi non siamo inesauribili, le nostre povere lampade, come dice il Vangelo nella para­bola, sono sempre destinate ad esaurirsi se non c’è questo rifornimento automatico, necessario.

Quindi dobbiamo ripeterli gli atti di fede, anche se sentiamo la fede forte, non basta mai, perché forti, instancabili, perseveranti, sono i nemici che ci attaccano, giorno e notte senza darci pace, senza darci tregua, e a chi vi attacca continuamente, dovete contrattaccare continuamente, perché se rispondete per una giornata, ma vi fermate un’ora, rischiate di perdete tutto il terreno che avete guada­gnato nel giorno.

Resistete forti nella fede, ha detto giustamente lo Spirito Santo. Gli atti di fede non si saprebbe in che direzione farli, perché è tutto un campo fertile, fio­rito, meraviglioso, ricchissimo; tutto un raccolto che quasi vi soffoca, è troppo quello che c’è.

Se noi apriamo gli occhi e vediamo la messe not­turna che Iddio ha sparso dappertutto. Nella Bibbia, nel Vecchio Testamento, con tutti i misteri annunziati, tutti i simboli, tutte le verità, Dio, in tutte le pagine, in tutti i modi, con tutte le parabole, sotto tutti gli aspetti, ha parlato tutte le lingue per farlo capire a tutti, ha usato tutti gli argomenti per con­vincercene   esaurientemente. E nel Vangelo, quando la verità ha preso corpo, si è mostrata visi­bile, quando la fede ha cominciato a parlare, ha cominciato a vibrare, a risuonare e a consolarci col suo accento di misericordia e di grazia, ditemi un po’ dove volete dirigere gli atti di fede? Ma dapper­tutto; non arriverete mai, non potrete mai racco­gliere il tutto, ce ne sarà per tutti e ne rimarrà ancora per altri, sempre, perché questo oceano sconfinato e le sue profondità sono inesauribili, l’ha detto lo Spirito Santo.

Ecco come noi dobbiamo vivere la nostra reli­gione, come dobbiamo vivere la nostra fede, ecco come dobbiamo ripetere gli atti di fede, così minutamente, anche nelle piccole cose, praticamente, però continuamente, venendo in chiesa, opponendosi alle eresie infernali che oggi serpeggiano in questo mondo tenebroso. “Non c’è Dio”, dicono!

Passando davanti al tabernacolo prostriamoci fino a terra e professando la nostra fede chiediamo perdono della loro infedeltà. “Non è vergine la Madonna”, chiediamo perdono alla terra e al Cielo, e a Gesù, il figlio unigenito, e alla Madonna e amia­mola per tutti quelli che non l’amano, crediamola per tutti quelli che non credono. “Non c’è il Cielo, non c’è Dio lassù”; come Gesù che continuamente nella sua preghiera non fa che levare gli occhi al cielo, la preghiera e tutta l’anima sua, e tutte le suppliche, le lacrime, le sofferenze, anche noi rin­noviamo la nostra fede, professiamola al Cielo.

Non dobbiamo certo chiederlo presuntuosa­mente, ma umilissimamente diciamo pure al Signore: “Se a te piacerà, provami nella mia povera fede, anche la mia povera vita, volentieri la spendo per questo grande prezzo, grande tesoro, che è la fede”; tutta la nostra vita deve essere così!

Guardate, dove vedete, dove passate lo sguardo, dove volgete il pensiero, c’è Dio, siamo immersi in Lui, viviamo di Lui, viviamo per Lui, viviamo con Lui: “Sarò con voi per sempre!”.

Se voi mettete la mano su qualunque persona, vi sta vicino il Signore, vi risponde se quella non parla: “Cosa mi fai? Perché mi percuoti”. Grazie dell’aiuto. È Lui in tutto, in tutti, in ciascuno, nelle montagne, nell’atomo, nell’elefante, nella formica, Dio dappertutto, perché non c’è cosa che non sia sua creatura e niente si muove che non sia mosso da Lui.

La vita è più bella, il sacrificio più leggero, la morte un trionfo, tutta la nostra vita religiosa è una manifestazione luminosa della vita di Dio nel mondo e in noi.

Così dobbiamo vivere la nostra fede, perché la fede è luce, e gli occhi materiali non servono. La verità di cui parliamo è superiore, è soprannatu­rale, è spirituale, e non si vede con gli occhi che noi abbiamo qui, gli occhi di carne, ma con gli occhi dello spirito!

(La Fede - Padre Gabriele)

 

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